2 Maggio – Tutto su “L’Insostenibile Leggerezza del Funk”
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Fra le varie recensioni che sono giunte in questi giorni, abbiamo scelto di pubblicare integralmente questa di Andrea Podestà, sull’Isola che non c’era. Spiega meglio di quanto avremmo mai potuto fare noi il sentimento dietro al nostro nuovo album.
Bobby Soul
L’insostenibile leggerezza del funk
Il primo dato di fatto è che Bobby Soul è una delle più belle voci italiane. Il secondo dato di fatto è che Bobby Soul ha una certa predilezione nel far vedere le sue scarpe. Non un granché, direte voi, per iniziare una recensione. Il fatto è che piedi e voce rappresentano in qualche modo l’essenza stessa dell’artista genovese. La voce è l’anima, ma anche la mente e, perché no?, il raziocinio. I piedi sono il corpo, la fatica che si deve compiere per portare in giro quell’anima. Non credo sia quindi un caso che nel front della copertina di questo bellissimo L’insostenibile leggerezza del funk siano presenti in primo piano i piedi del Nostro accavallati, come se finalmente ci fosse un momento di riposo; e nel retro la foto (di Chiara Saitto, qui in basso) del volto di Bobby assorto, quasi in ascolto di ciò che si è registrato. Dopo le fatiche del viaggio ora davvero ci si può fermare per gustare i frutti del lavoro. Ed è un lavoro che sprizza classe, entusiasmo ed energia. Ma soprattutto tanta, ottima musica. Bobby Soul – qui accompagnato dai Blind Bonobos – lo definisce il suo disco più pop. Definizione che può essere accettata sempre che con tale definizione si sottintenda un lavoro più composito, vario e contaminato, a differenza di quanto il titolo possa far apparire. Intendiamoci, c’è ovviamente tanto funk come nella jamesbrowniana (e bellissima) Mi muove o in Darci dentro. Ma non mancano anche inserti rap (Appena mi pagano grazie all’intervento di Suriak), suoni sixties (Due e ventisei), post-rock dai contorni noir (Il residence dell’amore universale, canzone che riprende per certi aspetti i toni di Strane storie al buio grazie anche alla presenza de La decima vittima), un certo groove jazz (in Donna davanzale, forse l’epitome dell’intero disco), il tango (Désiré) e persino il gospel (nella conclusiva cover di Que sera sera con l’intervento dei James & Black).
Insomma, si respira aria davvero nuova. Verrebbe da dire più leggera. Ma della leggerezza che profuma di Calvino; perché L’insostenibile leggerezza del funk è un disco profondo e meditato anche nella stesura dei testi. Bobby Soul spazia da racconti più intimi e personali, al limite della prosaicità (basti pensare al folgorante incipit di Appena mi pagano: “Squilla il telefono, non dovevo rispondere/ È la banca che chiama e mi dice/ “Ragioniere, il suo conto in rosso e lei dovrebbe versare/ prima possibile, prima di subito”/ così ho risposto, sarà fatto lo giuro/ appena mi pagano”) accanto a inserti più lirici (Una candela nel cuore). Ma non mancano anche momenti ironici, come in Désiré in cui il Nostro elargisce a profusione versi tronchi (“Desirè/ desideravo te/ Il tempo di un caffè/ vieni a prenderlo da me”) prima del colpo di scena finale (che non spoilerizzeremo) o in Due e ventisei resoconto tragicomico di una notte passata su Facebook (“Mi sono tolto l’amicizia da Facebook da solo perché mi trovo detestabile”). C’è, poi, molta Genova per l’uso di dialettismi o riferimenti tipicamente liguri.
Ma la vera sorpresa è la presenza di una sorta di convitato di pietra (nel senso buono del termine): Pasquale Panella. Bobby Soul lo omaggia nella sorprendente cover della dimenticata Amara del dimenticato Enzo Carella e nella splendida rilettura della battistiana Don Giovanni con tanto di coda prog che riprende – per chiudere il cerchio – l’iniziale Donna davanzale. Ma l’influenza panelliana la riscontriamo anche nella stesura dei testi; in particolare in Donna davanzale dove ritroviamo stilemi propri del poeta-paroliere romano (pensiamo alla struttura foderata del verso: “Che cosa li muove sapere che cosa” che rimanda a Cosa succederà alla ragazza).
Un disco, insomma, bellissimo fatto di solipsismo, di attese, di incontri e di addii… come se in sottofondo si aspettasse il ritorno – o l’apparizione – di una figura (femminile) sfuggente. Un disco di gran classe.
Questione di voce. Questione di piedi.
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